Sono nata nell’epoca sbagliata. Non sbagliata in generale magari, ma sbagliata per me. Che seccatura essere stata buttata qua, dieci anni dopo il ’68, un anno dopo il ’77, dopo mille splendide rivoluzioni e prima di niente. Spendere l’infanzia e la prima adolescenza negli anni Ottanta non fa invidia a nessuno, l’unica consolazione che abbiamo trovato è la musica sì, ah la musica disco degli anni 80… in-su-pe-ra-bi-le! Eh sì sì, quasi quasi lo penso anche io, sebbene negli anni 80 non la ascoltavo, odiavo ballare e me fottevo assai del Vojage Vojage e del Fade to gray, anche perché non ero una Easy Lady e non mi interessava Go West.
Che seccatura dover vivere questi anni svuotati di tutto, in cui non si crede più nell’umano, nella sua creatività, in cui le visioni del mondo si fermano ben prima di qualunque orizzonte, perché è meglio guardare dove cammini, magari trovi venti euro che qualcun altro ha perso e te li vai a spendere in libreria pensando che se nutri la tua mente, la tua fantasia, il tuo pensiero, sarà meglio. Ma arriva il momento in cui quei venti euro capisci che è meglio berli, e che è una rottura anche leggere, che è una competizione anche quella in cui si fa il conto di “e tu quanti libri hai letto in Marzo?”. Che seccatura dover diventare adulti in un’epoca che non ti ha insegnato a esaltarti, che non ti ha insegnato a prendere posizione, che ti ha preparato un mondo che va per inerzia dello spirito senza una corrente collettiva che ti dia la carica perché è tutto uguale, uno vale uno e così un’idea vale l’altra. E via di boiate che cancellano ogni giorno un pezzettino in più di quella linea a matita che è il mondo diverso della libertà e del tempo perso, che perso non è per niente se sottratto a questa giostra mostruosa che spinge a andare andare andare, veloci veloci veloci, ma solo in tondo come sul CalcioInCulo per cercare di afferrare la coda di un senso che non si fa prendere. E se vinci, è solo un altro giro sulla stessa giostra di nuovo.
Che seccatura per un animo filosofo stare qui a guardare l’epoca del tutto riproducibile, del nulla di autentico, delle post verità. L’epoca in cui si chiacchiera di tutto, senza aver mai avuto parte anche minima di quel tutto, senza andare oltre la superficie di nulla, l’epoca in cui ci si infiamma un minuto ci si spegne per mesi perché bisogna pur campare. Perché la bellezza non dà da mangiare, la rivoluzione non la fa nessuno finché ci sono le brioches, la critica a ciò che non va, che non potrà andare e che è andato pure troppo contro ogni previsione, non mette il pane in tavola. Semmai lo toglie, e a volte basta solo la vaga minaccia. L’epoca che non crede più nell’ulteriore, finto appannaggio della religione, che avvolge nel sacro l’altissimo e il bassissimo e ti inginocchia e ti china il capo facendoti credere che tu una coscienza ce l’hai. Che seccatura non trovare mai davvero l’alternativa possibile, perché è solo una moda, la fede nell’umanità rigenerata, che è solo una maglietta con la scritta Occupy; che seccatura quest’epoca che sulle ideologie ha sputato disgustata, che le ha annullate chiamandole utopie, fallimenti, violenze, bugie per porre l’impero di un denaro che tutto livella e mortifica. L’epoca della terra piatta e di Darwin che sono tutte cazzate, se non forse qui e ora nell’accumulo del capitale che fa anche l’evoluzione di qualcuno dello specie, con le chiappe a mollo di un costoso idromasaggio della quarta casa al mare.
Sono nata nell’epoca sbagliata, tutto qui. Mi sarebbero bastati 50 o 60 anni prima o 50 o 60 anni dopo. Mi sarebbe bastato poter dire che ho fatto la resistenza, che ho liberato il mio paese, che poi mi sono liberata io col corpo e con la mente, che ho usato per gioirne, che ho scoperto la libertà, e quel suo sapore di sale come fosse il sudore di un corpo amato per sé stesso, che ho creduto con tutta me stessa in qualcosa di più grande di me.
Oppure proiettata verso la fine di questo secolo per vedere se fra le macerie di questa follia presente che affama mezzo mondo e ingrassa fuori misura l’altro mezzo, potrà mai rinascere la fenice delle cose giuste, dove magari certa fantascienza ha ragione e nessuno è più schiavo, dove la ragione diventa il vero linguaggio universale delle genti e l’orizzonte ritorna a conquistare anche il cielo.
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